I Vascelli da guerra  

a cura di Alessandro BELLOTTO

 

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 Gli articoli di guerra del 1653

  

     Una delle realtà dell'epoca era costituita dal fatto che tra le file della Marina da Guerra Inglese figuravano anche navi mercantili, che le autorità superiori requisivano e armavano per rinforzare la flotta. Ciò comportava che molti comandanti ne erano anche i proprietari e quindi, era ovvio che questi ultimi e  per quanto possibile, se potevano, cercavano di sottrarsi al combattimento, più che altro perché non erano assolutamente certi che il governo avrebbe risarcito loro eventuali danni o la perdita della nave stessa. A pensarci bene, non avevano tutti i torti. Per quanto fosse alto l'amor di Patria, era indubbio che gli interessi personali, a volte, prevaricavano sui principi della comunità.

     Questo indusse Cromwell a stabilire che i comandanti delle unità mercantili sarebbero stati, d'ora in avanti, assoggettati alla disciplina militare e per questo avrebbero dovuto obbedire agli ufficiali della Marina da Guerra. Peraltro, sedutastante, per ristabilire una disciplina che fosse in regime con quello combattivo, Cromwell, richiamò presso di se due ex commilitoni della rivoluzione, i Generali Richard Deane e George Monk. Ebbene: saranno proprio costoro gli artefici di quella che passerà alla storia come l'orgoglio della tradizione navale inglese. Essi infatti, scrissero ed elaborarono le regole di comportamento ispirate da Blake per tutto il personale della Marina da Guerra, gerarchia compresa ovvero, i famosi "Articles of war del 1653".

     In tutto, detti articoli erano 39, venticinque dei quali rappresentavano la pena di morte per i più diversi e disparati reati che venivano commessi ed inoltre, in tredici di questi casi, non vi era nessuna possibilità di commutare la pena. A detta di ciò, in particolare modo si faceva riferimento al dodicesimo articolo, che rispecchiava in modo inequivocabile, ciò che lo Stato si aspettava ed esigeva da ogni comandante e cioè: “Ogni capitano o ufficiale, di persona o secondo al proprio rango, che non rincuorerà ed inciterà i propri marinai e gli uomini di ponte a combattere con coraggio e a non comportarsi vilmente, né cedere al nemico o a chiedere pietà, sarà  sottoposto a pena di morte o altra punizione a seconda della gravità della colpa."

    Per non parlare del quattordicesimo articolo che stabiliva la medesima pena e così recitava: "Chiunque, in occasione di qualsiasi combattimento o scontro, si ritiri o si tenga al riparo o non si impegni a dare il meglio di sé per catturare, incendiare, uccidere o danneggiare uomini e mezzi nemici, sarà soggetto a pena di morte."

   A leggervi tra le righe, in questi regolamenti quasi non c'era umanità e tutto sarebbe stato celebrato in nome di quell'onore di combattimento, quasi a sottolineare che era più importante sopraffare e uccidere, piuttosto che rendere quartiere al vinto o al debole. E tutto per la sete di vittoria. Comunque sia, queste normative di comportamento ebbero un certo effetto sia sugli uomini sia su chi li comandava e poiché tali leggi, semmai, erano mitigate dalla clemenza di chi era preposto ad applicarle, tutti nessuno escluso, si impegnarono al massimo nell'adempiere i loro doveri e con maggior convinzione.

 

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