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"La Serenissima Repubblica"

a cura di Alessandro BELLOTTO

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Il controllo del Mediterraneo

 

      Certo, la caduta di Costantinopoli prima (1453) e la conquista della città di Lepanto dopo (1499), metteva in crisi non solo i traffici commerciali dei veneziani ma anche l’intero bacino del Mediterraneo.  Le rotte del vecchio continente pur essendo uscite già da tempo dalle colonne d’Ercole, non erano ancora entrate nell’orbita delle grandi conquiste, e affidarsi alle via di terra comportava anzitutto dei maggiori costi e tempi troppo lunghi. Le nuove vie d’acqua aperte da Colombo, data la distanza, erano ancora impraticabili, ragion per cui tutti erano alla ricerca di nuovi approdi ove poter riaprire i loro commerci e così, un bel giorno del 1498, il Signor Vasco Da Gama, portoghese, per la prima volta dopo aver circumnavigato l’Africa oltrepassando il capo di Buona Speranza, approdò a Calicut nell’India occidentale. Ben presto i traffici delle spezie si articolarono lungo le coste africane e sull’oceano Indiano, tanto di guadagnato quindi per i mercanti portoghesi che non dovevano più venire a patti né con i veneziani né con i musulmani. A detta di un noto mercante e banchiere veneziano, un certo Girolamo Priuli, a causa di questa nuova prospettiva e con i Turchi che dilagavano, Venezia stava traghettando verso tempi catastrofici e fu allora, che i governanti veneziani, nell’intento di trovare una via d’uscita e riappropriarsi dei vecchi traffici con le Indie, pensarono di attivare un canale di collegamento tra il Mediterraneo e il mar Rosso. L’idea era buona, ma i tempi non erano abbastanza maturi né le tecnologie così avanzate per poter mettere in atto un simile progetto, così quest’idea tanto dibattuta venne messa da parte. Bisognerà attendere altri 400 anni prima che qualcuno lo realizzasse a pieno. Che fare dunque? Sul principio i veneziani si affidarono ad un uomo di comprovata esperienza ed esperto di guerra, il quale cercò di attivare al meglio le compagini combattive riuscendo in qualche modo anche a risolvere il problema degli arruolamenti sulle galee, promettendo agli equipaggi una parte del bottino delle navi nemiche che avrebbero catturato. Questo migliorò di molto lo stato di servizio, per di più, costui, era un personaggio che in cuor suo non temeva il potere dei patrizi anzi, proprio ad uno di questi che era contravvenuto ad un suo ordine, lo fece decapitare senza indugio. Benedetto Pesaro era un uomo dal carattere chiuso e burbero ma conosceva abbastanza l’animo umano e sapeva farsi obbedire. Il fiero condottiero alla soglia dei suoi 70 anni,  riprese con vigore la guerra contro i Turchi, ciò nonostante anch’egli non riuscì a riportare Venezia agli antichi valori. Nell’Agosto del 1503 morì quando già l’equilibrio del Mediterraneo stava subendo un ulteriore cambiamento.

     Per cominciare nel 1516 il sultano d’Egitto, Mark Dabik, morì sul campo di battaglia consentendo così ai Turchi di conquistare la Siria e la Palestina. L’anno successivo, anche lo stesso Egitto passo sotto l’egemonia ottomana.  Ben presto questi ultimi strinsero alleanze con i pirati della costa nord-africana, i temutissimi berberi, esperti marinai particolarmente aggressivi e dall’aspetto feroce che commerciavano in schiavi e che in breve tempo divennero il terrore del mondo cristiano. Dal pirata Barbarossa, Khair-el-Din, auto-proclamatosi governatore di Algeri e divenuto poi grandammiraglio della flotta ottomana, sino al corsaro Turgut Rais, che i musulmani chiamavano “la spada sguainata dell’Islam, feroce e implacabile, che terrorizzava qualsiasi nave incontrasse, ebbene, per causa di costoro,  nell’arco di un ventennio, i cristiani persero il dominio del Mediterraneo e il possesso delle coste ad eccezione dell’Adriatico. Troppo poco per una città come Venezia abituata a spaziare in lungo e largo dominando i mercati. Il nuovo secolo non aveva portato che disastri e problemi ad oltranza che si sommavano, fra le altre cose, alle frequenti epidemie. Tutto questo contribuì sempre più a indebolire gradatamente lo spirito di una città combattiva come Venezia, come se qualcosa la stesse minando al suo interno. Tuttavia essa continuava a reggere alle pressioni esterne, grazie anche alle costanti azioni diplomatiche con le quali, volente o nolente, riusciva in qualche modo a corrompere i dignitari turchi. Ma non vi erano solamente le vicissitudini del Mediterraneo ad affliggere Venezia, sul fronte dell’entro terra, le cose non promettevano altrettanto bene, anche qui le molte diatribe contribuivano a dissanguare le sue risorse. Tra il 1509 – 1517, Venezia dovette combattere contro la lega di Cambrai, cui facevano parte alcune tra le maggiori potenze dell’epoca: il Papa Giulio II°, Luigi XII° re di Francia, Massimiliano I° d’Austria, Ferdinando I° il cattolico re di Spagna, il ducato di Ferrara, il ducato di Savoia e l’Ungheria; tutti coalizzati contro la Serenissima  e purtroppo, lo scotto da pagare fu alto.  Venezia subì una dura sconfitta nei pressi di Agnadello ad opera dell’esercito della coalizione dove, ancora una volta, i veneziani dovettero pagare lo scotto delle discordie intercorse tra i due comandanti sulle strategie da mettere in atto. Questa sconfitta, in un certo qual modo, segnerà il tramonto delle mire espansionistiche della Repubblica di San Marco sulla terra ferma. Ma le diplomazie dell’epoca non cessarono mai di operare, quel tanto che nel corso degli anni successivi si assiste ad un balletto di alleanze: ex nemici che diventano alleati e viceversa alleati che diventano nemici; la conseguenza di questo gioco di alleanze finirà per sfaldare definitivamente la lega di Cambrai e nuovamente vedrà Venezia, nel 1513,  alleata con il re di Francia . Però, i vecchi investitori e i grandi mercanti veneziani, dati i rischi sempre più incombenti, cercarono altre fonti di investimenti, come le speculazioni edilizie o le industrie locali o le banche. Tutto questo causò un lento ma progressivo mutamento delle abitudini sociale della città, che favorirono un aspetto sempre più avvezzo alle comodità e al lusso. Dopo tutto Venezia era la città della bellezza dell’arte dei teatri e del fastoso carnevale, proteso per altro ad una certa spregiudicatezza e dove le beate cortigiane mettevano in mostra i prosperosi seni indossando abiti sontuosi.

     Alterando i vecchi sobri costumi Venezia  si stava avviando verso una sorta di Belle Epoque, fatta di libertinaggio, di mendacità, di gioco d’azzardo e di quant’altro e ciò, non fece che aumentare il divario tra la plebe e l’aristocrazia.  L’opulenta città stava avviando il suo impero verso il tramonto, i giorni dell’assoluta  indipendenza stavano sciamando e se pur i commerci delle spezie, dopo il fallimentare intento dei portoghesi di accaparrarsi il commercio con l’oriente, erano tornati a fiorire, i problemi e le difficoltà non diminuirono. Ciò nonostante, l’arsenale continuava la sua produzione con la pertinacia che da sempre aveva caratterizzato i veneziani, l’unica preoccupazione rimaneva sempre il problema degli arruolamenti, oramai questi ruoli a bordo delle galee erano coperti dai coscritti o dai mendicanti senza un soldo o semmai da schiavi.

     Un’altra risorsa importante per Venezia erano le colture agricole della terraferma, che non smisero mai la loro produttività, anche se i proprietari terrieri mal pagavano i contadini. Questi ultimi, se non altro, avevano qualcosa da mangiare.

    Intanto, nell’inverno del 1569-1570, l’Europa cominciò nuovamente a porsi un interrogativo: contro chi e/o quale bersaglio, questa volta, i turchi avrebbero rivolto le loro bellicose attenzioni. Oramai era cosa certa,  i turchi-ottomani stavano potenziando ulteriormente la loro flotta.  Siamo alle soglie del 1570 e il sultano di Costantinopoli, Salim II°,  senza mezzi termini chiese a Venezia l’isola di Cipro, considerata il fiore all’occhiello della serenissima Repubblica.

… “Salim, sultano ottomano, imperatore dei Turchi,  signore di tutti i signori, re dei re, ombra di Dio, signore del paradiso terrestre di Gerusalemme,  ai signori di Venezia: Noi, vi chiediamo Cipro. Che dovete concederci o per forza o per amore. Non sfidate la nostra tremenda spada, giacché noi scendiamo in crudele guerra contro di voi in ogni dove, e non fidatevi del vostro tesoro perché noi lo faremo scorrere via come un torrente. Badate a non mettere la nostra pazienza a dura prova”.

     Beh, davanti ad una simile perentoria richiesta cosa poteva rispondere Venezia se non con adeguata dignità.

…”Venezia, quale legittima sovrana di Cipro, con la grazia di Dio, questa Repubblica, semmai avvenisse, avrebbe avuto il coraggio di difenderla”.

    

     Se osserviamo attentamente, uno degli intenti politici può probabili e accreditati per tale richiesta, risiedeva nel fatto che il sultano, con questa mossa, voleva liberarsi di tutti i pirati cristiani che colà trovavano riparo, oltre ben inteso ai tesori dell’isola e alla sua  posizione geograficamente strategica, Qualche maligno arrivò ad asserire che quest’ultimo volesse impossessarsi dell’isola per il solo piacere dei suoi vini di cui era gran bevitore.  In realtà questa mossa poteva essere il preludio di un ulteriore espansione territoriale a cui i turchi-ottomani ambivano. A questo punto era fin troppo evidente che Venezia da sola non poteva affrontare simili avversari, perciò si rivolse ai potenti dell’occidente nonché al Papa Pio V° il quale inviò messi un po’ ovunque perorando la causa veneziana che, sino a prova contraria, riguardava un po’ tutti data la potenziale minaccia.  L’unico a rispondere fu il re di Spagna, Filippo II°, oltre che per un dovere religioso, anch’egli cominciava a temere le minacce dei Turchi. Così, Venezia Spagna e Stato pontificio, unificarono le loro forze per combattere i nuovi invasori. Il 31 Marzo 1570 il capitano generale da mar, Girolamo Zanè, alla testa di 42 galee prese il mare alla volta di Zara per congiungersi con gli alleati. Purtroppo nei due mesi successivi la spedizione veneziana fu colpita da una epidemia che uccise più di un migliaio di uomini, ciò nonostante Zanè proseguì alla volta di Corfù dove sperava di trovare forze nuove e viveri sufficienti per sfamare la sua flotta, ma l’isola era sprovvista di tutto, perciò fu costretto a proseguire sino a Creta. Fortunatamente, durante la navigazione si unirono al grosso della flotta altre galee veneziane che fecero salire la sua forza a 144 unità da guerra. Quello di cui scarseggiavano ora, erano gli uomini. Il 31 Agosto Zanè fu raggiunto da altre 49 galee spagnole poste sotto il comando di Gian Andrea Doria e da un altro piccolo contingente di 12 navi pontificie al comando di Marcantonio Colonna.

     Ma fra i comandanti scoppiarono subito delle liti sulle strategie da adottare: Zanè e Colonna volevano subito andare in soccorso a Cipro, ma Doria voleva procrastinare questa azione adducendo che oramai la stagione era troppo avanti. Intanto la discussione andò avanti per giorni sino a che Doria e Zanè non si rivolsero più la parola. Certamente ne approfittarono i Turchi, forti di 350 navi al comando di Piale Pascià, che invasero Cipro e la conquistarono, abbandonandosi ai più efferati delitti massacrando a destra e a manca. Gli uccisi furono più di 20.000 e quasi 15.000 i prigionieri. Quando la notizia della caduta definitiva di Nicosia raggiunse Creta, tra gli alleati scoppiarono nuove polemiche oramai inutili. Doria decise allora di ritornare in patria, decretando così il fallimento della spedizione ancor prima che questa cominciasse. Il Senato di Venezia condannò Zanè alla prigione e così pure i comandanti subalterni per la loro rinuncia a battersi.  Il fato di Cipro e dei suoi abitanti era oramai segnato e Venezia dovette segnare il passo. Dov’erano finiti il suo coraggio la sua baldanza nel combattere, la sua esperienza marinara, la sua fede nelle proprie possibilità! Però, tutto era ancora da dimostrare e Venezia,  meno di un anno più tardi, si sarebbe scagliata contro l’impudente turco, affrontandolo in una delle più grandi battaglie navali che la storia ricordi.