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"La Serenissima Repubblica"

a cura di Alessandro BELLOTTO

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Gli Ottomani

 

     Nel 1453, Costantinopoli, inesorabilmente cade nelle mani dei Turchi. Maometto II°, a soli 21 anni, decreta così la morte dell’impero Bizantino ponendo sul trono la dinastia Ottomana. Con il Corno d’Oro in mano ai Turchi, Venezia, fu costretta venire a patti stipulando nuovi trattati e pagando un contributo ai nuovi insediati affinché, questi ultimi, non intralciassero i loro commerci.  Ma le cose non promettevano molto bene, purtroppo nel giro di pochi decenni i Turchi  guadagnarono sempre più terreno e si stabilirono su almeno 50 delle fortificazioni sparse nel Peloponneso, riducendo Venezia a soli 26 punti di approdo. Di fatto, questa progressiva espansione faceva presagire che, poco per volta,  i suoi insediamenti sarebbero caduti in mano turca, per altro, i medesimi stavano allestendo una flotta sempre più potente che, in un certo qual modo, poteva incutere timore anche a una potenza marittima come Venezia. Gli atteggiamenti e i toni alla corte ottomana col passare del tempo divennero sempre più aspri cosicché, un lontano giorno del 1499 alla corte del sultano, a Costantinopoli, si verificò uno sgradevole e quanto mai inopportuno incidente diplomatico tra l’ambasciatore veneziano e il gran visir imperiale. Quest’ultimo, si permise di sottolineare il fatto che lo sposalizio del mare che tutti gli anni il Doge soleva festeggiare solennemente in quel di Venezia, in un prossimo futuro, il vero sposo poteva darsi che sarebbe divenuto il sultano. L’ambasciatore, trattenendosi dall'apostrofare in modo maledicente il turco innanzi a sè,  si limitò ribadendo che questa cerimonia si limitava al solo mare Adriatico. Questo fatto però, segnò inevitabilmente l’inizio di quello che sarebbe poi praticamente avvenuto e cioè: una crescente tensione che nel Gennaio successivo sarebbe culminata con l’arrivo a Venezia, tramite l’ambasceria di Costantinopoli, di un messaggio secondo cui dei corsari avevano catturato una nave con 200 barili (da 120 tonnellate) …in codice: ciò significava che i turchi stavano allestendo una flotta di 200 navi e non solo, ma poco tempo dopo arrivò un’altra notizia che fece salire il numero delle navi a 260 di cui 67 erano galee da guerra. Che fare? A Venezia tutti cominciarono ad allarmarsi. C’era anche chi ipotizzava che tale flotta sarebbe stata diretta in Siria o a Rodi, ma era fin troppo palese che, prima o poi,  si sarebbe diretta nel mediterraneo occidentale. Nell’Aprile dello stesso anno, date le circostanze, i veneziani elessero un nuovo comandante della flotta  con pieni poteri. Sfortunatamente, questi, non era un esperto di marina ma solamente un ricco e potente mercante, Antonio Grimani, la cui fama era dovuta più alla sua particolare lungimiranza negli affari, addirittura a Rialto tutti seguivano i suoi movimenti e tutti dicevano che avesse il tocco di Mida. Inutile negarlo, la sua esperienza di guerra si limitava ad una piccola scaramuccia avvenuta quattro anni prima lungo le coste pugliesi. Niente di più. In realtà, questi, oramai all’età di 65 anni, ambiva solo a farsi eleggere Doge, ragion per cui, con un’abile manovra riuscì a farsi eleggere capo della flotta. Grimani seppe cogliere al volo l’occasione e per dimostrare la sua assoluta volontà nell’aderire alle necessità dello stato, armò 10 galee a proprie spese e, provvedendo, sempre di persona, all’ingaggio degli equipaggi, e non solo, con l'occasione elargì allo Stato una somma di 20.000 ducati d’oro. Una somma quanto mai generosa, ma che in tempi di ristrettezze fu decisiva.  Il Senato lo elesse "capitano generale da mar”. 

     Il 2 Maggio Grimani uscì dalla laguna e diresse le sue navi sull’Adriatico alla volta di Corfù. La flotta al comando del Grimani era composta da 95 navi in tutto: 44 galee da guerra, 12 galee bastarde, 4 navi tonde da 1.200 tonnellate, 24 navi da trasporto armate di cannoni e poi altre 11 unità minori, forti (in tutto) di 25.000 uomini tra soldati marinai rematori e volontari. Tutto sommato una forza notevole che se ben pilotata poteva dare del filo da torcere a chiunque. Grimani intanto, inviava periodicamente alla repubblica i suoi dispacci carichi di ottimismo, e già a Rialto circolavano voci di vittoria. Durante una sosta lungo la costa Dalmata egli venne a sapere che la flotta turca si stava dirigendo alla volta del golfo di Lepanto dove sorgeva l’omonima città appartenente a Venezia, mentre da terra, una grande armata stava cingendo l’assedio la città. Poco male diceva il Grimani: la città di Lepanto era ben fortificata e senza le  artiglierie terrestri, i soldati turchi, poco avrebbero potuto fare contro quella roccaforte, poiché si sapeva anche che le artiglierie turche si trovavano a bordo della loro flotta che egli avrebbe sicuramente distrutta. Nel frattempo, nel Gennaio successivo, la flotta ottomana si affacciò nello Jonio superando l’estrema punta meridionale della Grecia, capo Matapàn, e risalì il Peloponneso andando incontro ai veneziani.

     Inutile negarlo, la flotta nemica era davvero potente: essa poteva contare su 63 galee da guerra, 30 galeotte, 18 navi tonde e un vasto assortimento di naviglio misto composto da 127 navi, per di più, contava su 2 grosse navi da carico che trasportavano un folto gruppo di giannizzeri. In totale portava con se una forza di non meno di 37.000 uomini armati sino ai denti.

     Quando i due contendenti vennero a contatto, sul principio, vi fu una sorta di studio delle rispettive forze. Da una parte era schierato il prudente comandante turco, Daud Pascià, accompagnato dal feroce pirata Kemal Rais conosciuto col nome di Camali; dall’altra il Grimani che dal ponte della sua galea sembrava un neo Alessandro. Finalmente le due forze si scontrarono. Quello che accadde in mare non fu una vera battaglia, ma una serie di scaramucce che scaturirono più che altro dall’azione di pochi veri eroici combattenti, come Andrea Loredan, che a sua volta era uscito da Corfù per unirsi al grosso della flotta veneziana poco prima che Grimani sferrasse il suo all’attacco. Purtroppo la presenza  inaspettata di quest’ultimo autentico combattente, per Grimani costituiva una intollerabile rivalità sicché, mentre Loredan si gettava nella mischia, il Grimani, rimase inattivo e privo di iniziative, o meglio,  egli dette il segnale d’inizio alla battaglia, ma non si mosse. Questo suo inesplicabile atteggiamento favorì in un certo qual modo, una sorta di diserzione che evidenziò chiaramente un atto di ribellione e codardia da parte di molti dei suoi capitani. Questo segnò la fine di Loredan e dei suoi uomini. L’osservazione più logica, a detta di molti presenti in quelle acque, derivava dal fatto che forse egli lasciò da solo Loredan nella fatua speranze che soccombesse. Altri invece asserirono che non seppe impostare adeguatamente la battaglia. Tutta questa serie di decisioni non prese e il fatto di non punire i capitani ribelli, accentuò maggiormente lo scontento nella flotta.

     Intanto i turchi molto opportunamente si sottrassero alla lotta, raccolsero i propri naufraghi e si rifugiarono sottocosta protetti dalle truppe di terra. La flotta veneziana, dispersa un po’ ovunque, cercò di radunarsi vicino all’isola di Zante sita  all’imbocco del golfo di Lepanto, con l’intenzione di ricomporre le proprie file e attestarsi in attesa degli avversari. Il fatto che molti capitani si fossero astenuti dal combattere, indusse Grimani a emanare nuove disposizioni secondo cui, gli ufficiali inferiori avrebbero dovuto uccidere gli ufficiali superiori se questi si fossero rifiutati ulteriormente di combattere.  Questo era un ordine che non aveva precedenti, oltretutto dimostrava, non solo la sua incapacità a comandare, ma gettava anche nello sconforto gli animi dei soldati e dei marinai che si sentivano in balia del nulla.  Dov’erano finiti l’ardimento e le capacità intuitive dei grandi ammiragli veneziani? Fintanto che gli Ottomani stazionavano a ridosso delle coste, nel porto di Zante venne tenuto un consiglio di guerra per decidere sul da farsi, oltremodo, per evitare il ripetersi dei precedenti avvenimenti, al ché, furono azzardate alcune proposte tra cui un cambio di responsabilità e cioè: una sostituzione ai vertici del comando. Domenico Malipiero, uno dei commandatori minori, si offerse di comandare le navi tonde purché un altro dei capi gli garantisse il suo appoggio con le galee. Avrebbe potuto essere una decisione intelligente, ma ancora una volta Grimani esitò, perché questo avrebbe significato mettere in cattiva luce il  direttivo.  A questo punto della vicenda accadde un fatto significativo quanto inaspettato e che avrebbe potuto risolvere a proprio vantaggio le sorti della battaglia ovvero: alla flotta veneziana si aggiunsero altre 22 navi francesi. Era un notevole supporto che veniva a sostegno della causa… all’epoca infatti la Francia era un’alleata di Venezia. Ma le cose non migliorarono, e quando le navi turche uscirono in mare per dare battaglia, il 20 di Agosto, ebbe inizio un  combattimento che perdurò cinque giorni. E ancora da parte dei veneziani vi furono atti di eroismo accompagnati da vigliaccheria, e di nuovo le galee bastarde si rifiutarono di combattere ma, soprattutto, ciò che sinteticamente emerse da tutta la faccenda era il fatto inoppugnabile che Grimani, si rivelò l’uomo sbagliato nel posto sbagliato. Le sue incapacità e le indecisioni unite alle disubbidienze, resero le azioni dei pochi eroi inutili, come gocce d’acqua gettate nell’immenso del mare.

     Ciò nonostante i turchi ebbero parecchie galee distrutte e molti morti e ripararono nel porto di Papas. Un dato di fatto però era certo, ed era che i turchi-ottomani oramai si erano attestati alle coste nordoccidentali del Peloponneso e poco mancava perché si addentrassero nel golfo di Lepanto (Golfo di Corinto). A questo punto la coalizione franco-veneta, doveva fermarli a tutti i costi, altrimenti avrebbero perso la città e la guerra.

     L’indomani, quando i turchi uscirono in mare, veneziani e francesi si gettarono all’inseguimento e purtroppo, ancora una volta,  all’ordine di Grimani di attaccare, solamente un capitano di un'unica galea si mosse e con lui i francesi, il resto della flotta indugiò in alto mare senza far nulla. Solo un altro capitano si unì alla lotta, Paolo Calbo, forse spinto dalla vergogna, però si comportò da eroe e, anche se ferito, riuscì a catturare due galee nemiche prima di ritirarsi con la nave semidistrutta. Altri lo seguirono riuscendo a loro volta a distruggere altre 8 galee turche trucidando i loro equipaggi. Malauguratamente il grosso della flotta rimase inerme e scompaginata, come presa da uno strano sconforto, eppure non tutto era perduto. Se fossero stati compatti, con molta probabilità, data la grande esperienza nel guerreggiare, avrebbero potuto vincere e/o comunque avrebbero potuto infliggere alla flotta Turca un durissimo colpo. Le sole schermaglie portate avanti da quei pochi non servirono a molto, oramai l’intera flotta si era sparpagliata tra la discordia. I turchi-ottomani intanto si erano definitivamente inoltrati nel golfo diretti su Lepanto. A quella vista i plenipotenziari veneziani, dall’alto delle mura oramai vetuste di quella città, temendo il peggio, si arresero. Per la prima volta i veneziani subirono una grave sconfitta seppure con minime perdite. Praticamente la flotta ne uscì quasi intatta, ma la maggiore sconfitta derivava dal fatto di aver perduto non solo Lepanto, ma tutti i possedimenti e le altre postazioni commerciali lungo le coste Greche.

     Antonio Grimani fu deposto e condotto a Venezia in catene per essere processato e fu per lui una cosa avvilente e poco edificante. Alle udienze uno dei suoi maggiori accusatori addirittura parlò per tre giorni di seguito, oltretutto fu accusato di aver voluto affrontare il nemico senza alcun piano tattico impartendo ordini sconsiderati e privi del ben che minimo senso logico.

     In merito a tale giudizio, alla fine, bisogna sottolineare un fatto e cioè: che spesso, quello che a volte può sembrare logico, in realtà poi non lo è affatto. Ma perché Venezia gli affidò un incarico così delicato quale supremo comandante della flotta, se già qualcuno paventava che il Grimani, dopotutto, forse non sarebbe stato all’altezza di saperlo svolgere a pieno… solo perché era stato generoso con lo Stato o piuttosto, perché i lati oscuri della politica hanno sempre doppi risvolti? Seppure si sapeva quanto importante fosse lo sconfiggere i Turchi. E allora perché poi quando questi fallì lo processarono? Per salvare la faccia, e di chi! Tutto questo bisognerebbe domandarlo ai poteri della politica, ma oramai, a cosa servirebbe!?

     Grimani, si gettò in ginocchio davanti al Senato implorando pietà e adducendo il fatto che alla sua età, essendo rimasto per 7 mesi in ceppi, aveva sofferto abbastanza. E pietà gli fu concessa e fu condannato all’esilio in Dalmazia.  Ma l’assurdità delle cose non finisce mai di stupire, quando si pensa, che 12 anni più tardi egli riuscì a rimaneggiare la politica e ad essere eletto Doge.