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"La Serenissima Repubblica"

a cura di Alessandro BELLOTTO

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Il Doge o Duca

    

     Il Doge dunque rappresenterà la figura del potere che, per l’appunto, vede le sue origini in quel di Eraclea eletto dal patriarca di Grado che ne celebrò solennemente la nascita. Non si trattava di un blasonato ma di una figura che nasceva quale primo tra i pari, anticipando quella stessa figura che un domani sarà il capo dello Stato. Questa carica era molto ambita, più che altro per il valore simbolico e per il prestigio che questa comportava, soprattutto più tardi, per le famiglie altolocate e/o ricche. Le aristocrazie veneziane erano sostanzialmente due: una ricca e l’altra povera, un po’ come dire il buon popolo e i nuovi ricchi, e poiché il Doge doveva provvedere al proprio sostentamento in maniera autonoma, di fatto, dato il fasto dei cerimoniali, le spese da sostenere erano molto costose e quindi era più ad appannaggio dell'aristocrazia ricca. Però, nonostante la carica avesse dei poteri elevati, di contro, aveva degli obblighi non di meno pressanti,  fra cui vi era l’obbligo di passare il resto della vita all’interno del palazzo ducale o nella basilica di San Marco. Per uscire dal palazzo il Doge aveva bisogno dell'autorizzazione del Senato che la concedeva solo per ragioni che riguardavano la Repubblica. Per di più, alla sua morte veniva processato, nel senso che veniva posto al vaglio il suo operato in modo da contrastare il suo operato in vita che lo induceva a non abusare della sua posizione, e se dal caso, i suoi famigliari erano condannati al risarcire i danni allo stato. Insomma, era si una condizione di alto rango ma anche di un limbo annunciato. La metodologia attraverso la quale avveniva la sua elezione era un sistema alquanto complicato in modo da impedire i brogli delle varie corporazioni, esso avveniva con l’estrazione delle "baote"(ovvero: palle) poste all’interno di un’urna e che si ripeteva più volte e con modalità diverse, e che venivano estratte tramite delle manine di legno per renderle insensibili al tatto.

Strano a dirsi ma da questa singolare parola, "baota", deriva oggi l’attuale denominazione di… ballottaggio.

     La nomina era vitalizia… per di più, non poteva dare le dimissioni amenoché, il consiglio non lo invitasse a farlo. Il Doge inoltre non poteva occuparsi di altre cose all’infuori di problemi politici e per ciò, dopo eletto, doveva rinunciare a qualsiasi altro interesse e a tutto ciò di cui si occupava prima di essere eletto. Alla sua morte le esequie si celebravano in modo pressoché privato,  solo dopo l’anno mille, queste, cominciarono ad assumerne una certa pompa e a divenire una celebrazione della repubblica; poche ore dopo la sua morte il Doge veniva imbalsamato e avvolto poi in un manto d’oro, in testa gli veniva posto il corno ducale e ai piedi gli speroni d’oro erano calzati alla rovescia e al suo fianco era deposto lo stocco, uno spadino sempre d’oro ma con l’impugnatura rivolta verso le estremità; la salma poi era posta su di un grande tavolo ricoperto di broccati con due grossi candelabri in una sala del palazzo, e per tre giorni era esposta al popolo e ben vigilata da gentiluomini in toga rossa. La cerimonia ultima si svolgeva al tramonto accompagnata dai rintocchi del campanile di San Marco e di tutte le chiese di Venezia, il corteo che usciva dal palazzo ducale era formato dai famigliari che  per l’occasione indossavano un mantello nero con cappuccio, seguivano i magistrati i dignitari della repubblica gli ammiragli e il popolo con tutti i gonfaloni e i labari. Tale corteo si  avviava silenziosamente verso la basilica di San Marco, qui le campane cessavano di suonare e alcuni marinai sollevavano il feretro nove volte gridando “misericordia”, questo rito si chiamava il salto del morto, dopodiché la processione si rimetteva in moto giungendo sino alla chiesa di San Giovanni e Paolo, dove il Patriarca  celebrava la messa funebre, al termine, la salma veniva tumulata nella chiesa stessa. Naturalmente tutte le spese della cerimonia, ingentissime, erano a carico dei famigliari che spesso per sostenerle si indebitavano sino al collo.