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Autore Alessandro F. Kineith |
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“L'uomo del giorno dopo”
Faro di Stiff sull’isola di Ouessant romanzo Avventure sui mari (Vol. XI°) Edizione 2024
L’isola di Ouessant All’inizio d’inverno di quell’anno, 1840, la stagione si annunciava piuttosto rigida, tant’è che dall’isola di Ouessant ad ovest della costa Bretone della Francia Nord occidentale, nei giorni limpidi, si potevano scorgere in lontananza le vette innevate dei Pirenei; visione ben diversa da quello che spesso si poteva osservare lungo la costa frastagliata di quell’isola, quando l’incombere del Mistral sollecita le onde a infrangersi fragorosamente sulla torre del faro di Stiff sulla punta estrema di quella terra dimenticata da Dio. All’epoca di questa storia, il vento che imperversava oramai da giorni , finalmente stanco di inveire sulla cresta delle onde, si arrese placido dissipando i turbinii. L’isola di Ouessant è un luogo semideserto, tranne un insediamento di piccole case di pescatori situato in riva sulla baia di Lampaul, dove si erano insediati poco alla volta a riparo dall’imperversare dei flutti. L’unico essere che per scelta viveva lontano da tutti era il guardiamo del faro, John Silver Le Duc. Costui era un uomo solitario che non amava confrontarsi con i propri simili; col volto ricoperto da una folta barba e una copiosa chioma di capelli neri raccolti dietro la nuca da un sottile laccio di cuoio, viveva in simbiosi con se stesso e nessuno aveva mai osato chiedergli chi in realtà fosse. Solitamente si copriva il capo con uno strano cappellaccio di canapo intrecciato dalla tesa molto larga; di tanto in tanto lo si scorgeva camminare lungo la battigia sassosa, avvolto da un lungo mantello di panno grigio chiaro piuttosto logoro, segno evidente del trascorrere del tempo; camminava sempre a testa bassa come se stesse meditando qualcosa di importante; camminava per ore incurante del mondo che lo circondava, solitario e taciturno; talune volte quando sostava su uno sperone di roccia protesa sulla riva, alzava il capo e osservava a lungo la distesa oceanica come fosse un bene placido su cui dominare; a volte osservava il volo acrobatico dei gabbiani che sfioravano l’acqua e risalivano in quota liberi come l’aria. A parte ciò, qualcuno del villaggio s’era chiesto se avesse qualcosa da nascondere o se fuggisse da un fatto terribile. Nessuno sapeva cosa farneticasse nella sua mente, tantomeno da quale angolo del mondo proveniva; unica cosa certa e risaputa da tutti, era il fatto che aveva acquistato la dimora del vecchio Oscar, morto di vecchiaia, ed aveva assunto l’onere di badare al faro. In giorni alterni lo si vedeva inoltrarsi verso il largo a bordo di una piccola imbarcazione, gettare l’ancora ad un miglio dalla costa e dedicarsi alla pesca all’amo per un intero giorno, o almeno sino a quando le condizione del mare gli consentivano di farlo o semmai, non oltre gli ultimi bagliori del sole che annunciavano il tramonto, l’ora in cui aveva l’obbligo di accendere il faro e non prima di aver sollevato tramite un piccolo verricello, due grossi massi che davano energia ad una ruota dentata che movimentava la lanterna. “Strano personaggio” fu il commento di Leopold, il più anziano dei pescatori che aveva potuto osservarlo abbastanza da vicino con la lente scheggiata del suo cannocchiale, mentre costui camminava nelle vicinanze del borgo. “E com’è il suo volto? Cosa hai potuto vedere?” Chiese il compagno di barca rivolto all’amico. “A dire il vero” commentò mesto, “niente di particolare se non che ha una barbaccia talmente folta che gli copre il volto e non si scorgono i lineamenti.” “Bisognerebbe che qualcuno andasse a chiedergli perché se ne sta sempre solo” commentò di rimando Reynold il compagno di barca, “perché non cerca di famigliarizzare con tutti noi!” “Beh, non sarò certo io a dirgli di venir qui” finì col dire Leopold mentre s’infilava la giubba prima di uscire. “Perché non lasciate perdere quell’uomo e pensate agli affari vostri” intervenne Clotilde moglie di Leonard, “finché non interferisce con la nostra vita penso sia meglio lasciarlo stare, mi sembrate della donnette che ciarlano al mercato” concluse la piccola donna dal volto rubicondo. “Donna” gli rispose il marito, “perché non badi ai tuoi fornelli invece di interferire con i nostri discorsi?” “Discorsi, discorsi” balbettò la donna, “pensa ad aggiustare le reti per la prossima pesca invece di perdere tempo a confabulare col tuo compare.”
A parte queste piccole e insignificanti divagazioni dei due pescatori, comunque, nessuno si sarebbe mai sognato di andargli a chiedere lumi sino a quando, il fato, molto tempo dopo non si rese manifesto e per quel piccolo nucleo di persone, conoscere la verità fu un qualcosa che andò ben oltre le loro aspettative. Ma.. procediamo con ordine! Non è ancora il momento di esternare simili rivelazioni. Due volte al mese, solitamente il mercoledì giorno di mercato, il guardiano del faro usciva in mare, circumnavigava l’isola e si dirigeva verso la costa francese approdando a Brest per fare acquisti. La lista era pressoché sempre la medesima: tuberi, verdure, caffè, sale, farina, e, quando erano disponibili qualche sacchetto di maccaroni provenienti dall’Italia ed in fine, una scatola di tabacco da pipa; cosa strana: non acquistava mai alcoolici di nessun genere, fuorché the cinese; la lista si concludeva sempre con l’acquisto di saponette per l’igiene personale e un pacco di sapone a scaglie di Marsiglia per il bucato. Ma quello che tempo dopo attirò morbosamente la curiosità della gente, dopo che il padrone dell’emporio aveva osato fare una precisazione, era il fatto che alcune volte il guardiano pagava gli acquisti con piccoli quantitativi di polvere d’oro o semmai con piccole piastre d’argento. Seppure, sull’isola nessuno aveva mai trovato, pur se piccoli, dei giacimenti di metalli nobili. Tutti questi inspiegabili misteri non facevano che aumentare la curiosità della gente, cosicché quando il Le Duc intuì tale interesse per questa sua stranezza, smise di servirsene e continuò a pagare con moneta di uso corrente e questo, pose fine all’insana curiosità. Tutto sommato, la conduzione del faro non richiedeva molto tempo, solo poco più di un’ora per controllare gli stoppini delle singole fonti di luce e rifornire le scodelline con dell’olio di balena; oltre a questo, ogni due giorni John Silver provvedeva a togliere le incrostazioni di sale che si depositavano sui vetri esterni che attorniavano l’occhio luminoso che roteava costante per l’intera nottata. La rimanenza del tempo John Silver lo impiegava per la pesca, le lunghissime passeggiate, e, nei giorni di pioggia o di furente burrasca si rintanava in casa dedito alla lettura. Nel suo strano e ostinato isolamento, John Silver le Duc non si interessava minimamente sugli avvenimenti sociopolitici che a quel tempo sobillavano l’animo dei francesi, per lui le diatribe fra il popolo e il sovrano lo lasciavano del tutto indifferente, per lui contava solamente il presente e quello che in quel momento rappresentava, ovvero il nulla. Non si interessò nemmeno quando apprese che pian piano la rivoluzione industriale nel Paese aveva creato una nuova classe sociale: il proletariato urbano, che si prefiggeva di rimediare alle ingiustizie sociali dando credito ai primi movimenti con idee anarchiche e socialiste. L’unico commento che fece con se stesso, fu quello di dire: “chissà mai di questo passo dove si andrà a finire”. Nonostante l’accrescere di quel bailamme sociale, giorno dopo giorno, John Silver Le Duc continuava il suo interloquire con se stesso alla ricerca di non si sa bene di quale lontana verità che lo aveva indotto a sottrarsi dal cosiddetto mondo civile. Che fosse pazzo.. o lo stesse diventando? NO! John Silver aveva scelto semplicemente quel tipo di vita per non dover rendere conto a nessuno del suo operato, tantomeno del suo passato. Spesso, chi osserva per lungo tempo certune abitudini di un proprio simile, è portato a chiedersi se si tratti di alterigia o pura scontrosità e prova per lui un senso di pietà. Nulla di più sbagliato, ciascun uomo reagisce alla vita nel modo che più gli è congeniale e non deve renderne conto a nessuno, insomma: vivi e lascia vivere.
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